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Nadia Owusu è una donna di molte lingue, patrie e identità. Seguendo suo padre, funzionario delle Nazioni Unite, è testimone di povertà, violenze, razzismo. Cresce tra Roma, Dar es Salaam, Addis Abeba, Kumasi, Kampala e Londra. Per ogni nuovo luogo c'era una nuova lingua, una nuova identità e una nuova casa da abitare. L'instabilità dell'infanzia nomade di Nadia è aggravata da segreti e fratture familiari, vissute ed ereditate: a due anni, abbandonata dalla madre armeno-americana; a tredici, orfana dell'amato padre ghanese, grande eroe della sua vita, morto di cancro. Lei e sua sorella restano sole, con una matrigna a cui non piacciono. Arrivata a New York per l'università, Nadia è una giovane donna apolide e incerta sul suo futuro, ma desiderosa di trovare la propria identità, di riappacificarsi con le identità multiple che si scontrano dentro di lei. Non c'è da stupirsi che nel suo senso di sé senta un terremoto in arrivo, che le faglie alla fine si scontrino. Un memoir commovente e incredibilmente attuale, una storia intima che si cela dietro le notizie di immigrazione e divisione che dominano la politica contemporanea, un ritratto sfumato della globalizzazione dall'interno.